F2F: ALIMENTAZIONE COME PREVENZIONE

Perchè l’UE deve pensare anche alla politica alimentare

di Fiorello Cortiana

Il Coronavirus ha fatto slittare di due mesi il lancio della nuova politica alimentare dell’Unione Europea: ne è valsa la pena. F2F, la strategia Farm 2 Fork, che potremmo tradurre “dal campo al piatto“, ha una funzione centrale nei dieci capitoli della Strategia di crescita per l’Europa, l’European Green Deal, presentata dalla Commissione Europea guidata da Ursula von der Leyen, con il 40% del Bilancio dell’Unione Europea da dedicare alle azioni per il clima.

Un buon segno nel “Super anno per la Natura e la Biodiversità”, secondo il Segretariato Generale delle Nazioni Unite. Il 2020 è anche il termine entro il quale i Paesi devono definire i propri piani per raggiungere gli obiettivi fissati con l’Accordo di Parigi per il Clima del 2015.

F2F ha l’intenzione dichiarata di promuovere l’agroecologia, la multifunzionalità della filiera agroalimentare nella piena sostenibilità per la salute, per l’ambiente e le dignità locali. Parliamo di una filiera oggi responsabile di un terzo delle emissioni di gas serra – i greenhouse gases (GHG)-, del consumo di risorse naturali non rinnovabili, di impatto sulla salute pubblica con sovra e sotto nutrizione diffuse, nonché di ingiuste remunerazioni per i produttori primari. Mettere al centro la sostenibilità significa perciò abilitare nuovi diritti, nuove opportunità professionali ed imprenditoriali, una qualificazione ambientale e sociale.

F2F intende accelerare la transizione verso un modello sostenibile per la filiera agroalimentare, con un impatto ambientale neutro o di riqualificazione, la mitigazione del cambiamento climatico e l’adattamento ai suoi effetti, con l’inversione della partita di biodiversità, con l’assicurazione dell’accesso al cibo, che sia sufficiente, sicuro, non sprecato, nutriente e sostenibile. Con garanzie per la remunerazione e la competitività del settore europeo della distribuzione e di un commercio equo e solidale, e con un beneficio per tutti gli attori: ricercatori, produttori, distributori, consumatori. Cambio generazionale, paesaggio, biodiversità, salubrità, dignità e giusta retribuzione del lavoro, azione per il clima, vivibilità delle zone rurali, qualità energetica, garanzia della filiera, saranno anche le basi per la strategia della prossima Politica Agricola Comunitaria.

La relazione tra F2F e PAC è ambiziosa.  Equa retribuzione e prezzi finali accessibili significano: rendicontazione e trasparenza nella catena di produzione del valore lungo la filiera evitando possibilità  per interpretazioni equivoche, utili a rispettare la forma senza cambiare né il processo né il prodotto ma riducendo l’efficacia nella attuazione della direttiva.

La Commissione Europea propone di supportare questa transizione attraverso le politiche comuni dell’agricoltura e della pesca, di regolazione e non-regolazione. Con innovazioni importanti accompagnate da contraddizioni evidenti, nella pesca, ad esempio, il 30% degli aiuti andrà all’industria meccanica, per la riduzione delle emissioni dei motori dei pescherecci europei. Nulla invece per la salvaguardia e la rigenerazione dello stock ittico, minacciato e ridotto ogni anno da quote di cattura sproporzionate ai tempi biologici di rigenerazione.

Il supporto europeo significa, altresì, attività di consulenza, strumenti finanziari, ricerca e innovazione. Nella filiera agroalimentare sarà quindi necessario riconoscere il necessario supporto alla transizione al biologico, sia dei latifondi che dei piccoli appezzamenti contadini. Ciò significa riconoscere e consentire l’esercizio delle funzioni agroecologiche, con le implicazioni di ripristino e salvaguardia ambientale e paesaggistica, nonché sulla salute pubblica.

Basti pensare agli impatti del cocktail tra pesticidi nei campi e antibiotici negli allevamenti, con la conseguente diffusione della resistenza a questi ultimi nella popolazione. Per questo la Commissione proporrà una cornice legislativa specifica a supporto della implementazione di una politica alimentare sostenibile. Qui sarà importante che l’innovazione sia fondata sul principio di precauzione, per cui diventano importanti anche gli sviluppi di interventi capillari, nell’irrorazione come nell’azione meccanica, per diserbare senza sconvolgere l’equilibrio e senza favorire la liberalizzazione degli OGM.

A supporto della dimensione globale della transizione sostenibile del sistema agroalimentare l’Unione Europea attiverà anche le sue politiche commerciali e gli strumenti di cooperazione internazionale. Qui, l’azione di controllo e repressione delle frodi si accompagna con la trasparenza delle etichette sui prodotti: qualità alimentare, qualità ambientale, dignità del lavoro. Dentro un’azione globale per la sostenibilità, ciò significa garanzie di trasparenza e qualità anche per le filiere internazionali, dal lavoro minorile e in schiavitù, all’uso di semi OGM, piuttosto che la deforestazione per gli allevamenti intensivi/estensivi.

Quanto sopra illustrato ha immediatamente a che fare con le aree urbane e la qualità della vita di chi le abita. Milano è seconda solo a Roma come città agricola, mentre come Città Metropolitana detiene il primato assoluto, presidiato dal parco agricolo di cintura più significativo d’Europa. In questo contesto, non è quindi fuori luogo la questione della conservazione della biodiversità a Milano. Essa svolge due funzioni cruciali per la qualità ambientale: una funzione conservazionista sia per la protezione di specie animali, che per quelle vegetali, che per l’aspetto paesaggistico, grazie al Parco Agricolo Sud Milano. Una funzione culturale, affinché i cittadini abbiano la consapevolezza della necessaria alleanza tra sfera biologica e antropolologica, nella relazione mente-corpo-natura. Ciò laddove ci sia un rapporto di fruizione e conoscenza di questa straordinaria riserva naturale con le sue risorse colturali e culturali.

Per la criticità della sua condizione ambientale, dal consumo di suolo con la conseguente impermeabilizzazione, alle emissioni in atmosfera con la diffusa affezione alle vie respiratorie di chi la abita, ha perciò senso porre la questione della conservazione della biodiversità nell’area urbana milanese. In particolare laddove le politiche regionali per la conservazione della biodiversità hanno trascurato l’ambiente urbano. Un errore potenzialmente esiziale, poiché le città rivestono un ruolo prioritario tra gli ecosistemi per il numero di persone che le abitano, e perché le Nazioni Unite prevedono che a metà secolo il 70% della popolazione mondiale vivrà inurbata.

Si tratta – invece di assistere fatalmente a questa deriva -, di rovesciare invece il verso dello sviluppo urbano degli ultimi 150 anni. In luogo della penetrazione nella campagna lungo gli assi viari, tornare a vedere le vie d’acqua dei Navigli e i campi agricoli che lambiscono le periferie e i comuni della prima fascia di Milano come corridoi ecologici, che entrano in città e che la possono riequilibrare e risignificare. Del resto Cesano Boscone, comune di prima cintura nel Parco Sud, deve il suo nome ai boschi planiziari di querce che coprivano la pianura, anche se oggi pochi dei bambini delle sue scuole sanno che a pochi metri dalle loro case ci sono cascine pienamente funzionanti.

Abbiamo la necessità, che deve diventare ambizione, di trasformare i nodi urbani da degenerazione energivora e generatrice di marginalità sociale e di rifiuti, creatrice di periferie vicine e lontane, in un centro di nuovo urbanesimo capace di riqualificazione e rigenerazione, di sostenibilità e bellezza.

La generazione, la connessione e la cura degli spazi verdi dentro il territorio urbano è una riserva di biodiversità utile, anche perché le aree verdi filtrano l’inquinamento atmosferico derivante da trasporti, riscaldamento e industrie; producono ossigeno, attutiscono i rumori e rendono gradevole il paesaggio urbano anche meno qualificato architettonicamente. Il nodo del conflitto per il cambiamento è qui, perché è qui che si genera il senso comune dell’agire collettivo, dove si producono i mandati elettivi locali e nazionali.

Quanti sanno che ci sono 300 siti “Natura 2000“, dentro alle città o nelle immediate adiacenze? Coltivare e proporre uno sguardo capace di vedere la relazione possibile e auspicabile tra la multifunzionalità agricola e l’abitato è già oggi la ragione che muove significative esperienze di cittadinanza attiva: le giardiniere di Piazza d’Armi, piuttosto che i cittadini che animano la Goccia a Farini o, sempre a Farini, ricorrono a TAR e Consiglio di Stato contro l’accordo di svendita di un bene pubblico come l’ex Scalo FS, in una economia della conoscenza – in luogo della “città-fabbrica” e di un sistema territoriale qualitativo una delle condizioni di attrattività e di generazione di valore.

WWF, Italia Nostra, Legambiente, della Lombardia, per il dopo Coronavirus hanno proposto un manifesto perché “tutto non sia come prima“, per “Ripristinare un rapporto equilibrato di reciprocità tra ambiente e uomo“, e quindi per “sostenere un ampio progetto di manutenzione del territorio che ponga come elemento centrale la qualità del paesaggio lombardo inteso come grande infrastruttura culturale capace di divenire traino di una ripresa economica lungimirante”.

Del resto la legge di iniziativa popolare per l’istituzione del Parco Agricolo Sud Milano era partita così, da visionari come il gruppo di base cittadino ‘Ecologia 15’ e dal RAL di Lacchiarella.

Pubblicato anche da: https://www.arcipelagomilano.org/archives/56151