Ascoltare se stessi attraverso la musica

A cura di Rino Capitanata

 

 

La maggior parte delle persone crede di accogliere la musica soltanto attraverso i canali uditivi. Spesso però non soltanto non l’accoglie, ma la subisce. La musica è prima di tutto un evento corporeo.

È il senso del tatto a essere totalmente coinvolto dal suono, attraverso quel potente e raffinatissimo organo che è la pelle. L’involucro che ci protegge e che ci mette in comunicazione con il mondo.

La pelle conserva le memorie implicite dei nostri primi 45 mesi di vita: 9 nel ventre materno e 36 dopo la nascita. L’intensità degli stimoli musicali nella vita prenatale e postnatale comporta una migliore possibilità di sviluppare in età adulta la capacità di vivere in profondità il piacere della musica.

Sotto l’effetto del suono, chi ascolta si trasforma in un diapason vivente e senza accorgersene attiva sulla pelle dei ricettori che trasformano la vibrazione in piacere.

La vibrazione della pelle coinvolge tutte le cellule e fa dilagare il suono dappertutto. Il corpo coinvolto dall’onda musicale subisce, da un lato, una trasformazione fisico-chimica e dall’altro lato, assapora l’indicibile sensazione di un flusso di carezze amorose.

Questo processo stimola non solo alcune aree del cervello atte a produrre sostanze legate ai circuiti cerebrali degli oppiacei, ma anche il ventre, non a caso definito il nostro secondo cervello.

Ai miei concerti prima di iniziare conduco una breve guida all’ascolto. In realtà, l’ascolto musicale in profondità significa sapere che devo ascoltare il corpo e non la musica, che devo prendere coscienza del mio respiro anche come manifestazione fisiologica del “soffio vitale”.

L’ascolto in profondità è il trasformare un ascolto musicale in ascolto di sé. Ormai molto diffusa nel mondo occidentale, questa applicazione vanta antiche origini asiatiche cristallizzate nel “naishi”: l’antica scienza cinese che regola l’arte di guardare dentro il corpo.

Per il tipo di impatto profondo che ha sul nostro sistema emozionale, la musica può essere utilizzata con buoni risultati in ambito terapeutico. Rappresenta certamente un efficace complemento ai trattamenti di rilassamento corporeo e mentale, nei disturbi di apprendimento, in alcune forme di patologie psichiche e di disturbi del comportamento sociale.

Come nascono le composizioni musicali

In virtù di una magica combinazione fra intelletto e anima, il musicista percepisce una verità e la traduce in musica, avvalendosi della sua cultura, del suo modo di sentire, delle sue conoscenze storiche, delle sue conoscenze tecniche e delle sue passioni.

Quindi l’opera nasce fortemente determinata dal momento storico, ma lo trascende conferendogli i caratteri di eternità e universalità. I musicisti subiscono più o meno l’ambiente che li circonda, ma più se ne lasciano contaminare più l’opera perde i caratteri dell’universalità; al contrario, più l’artista si isola, studia e ricerca nel suo interiore elementi di trascendenza (ed è la strada che ho scelto), più l’opera assume un carattere universale.

I primi a interrogarsi sull’essenza della musica furono i filosofi greci. Pitagora pose l’armonia (il perfetto) assieme alla verità e questa in contrapposizione al male, al falso, al mutevole. L’armonia è presente nell’anima come nel cosmo, è musica e viene rappresentata da rapporti aritmetici che suddividono un segmento geometrico, cioè la corda di uno strumento (il monocorde).

Dunque la musica e l’armonia musicale dell’universo coincidono con l’aritmetica e la geometria e queste sono il reale.

Platone esaminò l’influenza che aveva la musica sulla mente e sul corpo (si danza accompagnati dal suono) e quali leggi matematiche (logiche) la regolassero. Aristotele asseriva che la musica ha scopi molteplici: può servire all’educazione, procurare catarsi, concedere riposo, sollevare l’anima.

Da qui ovviamente nacque il problema estetico del genere musicale da prendere in considerazione.

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